Il cammino ribelle che unisce una valle

In Val Borbera il nuovo “Cammino dei Ribelli” fa scoprire un territorio dimenticato

Sono passato in Val Borbera in varie occasioni e per motivi differenti, l’ultima volta, quest’inverno per partecipare al corso di pronto soccorso in ambiente remoto. Mi piace vivere e far vivere l’avventura e non si è mai abbastanza preparati ad affrontare terre selvagge. Ambiente “remoto” … ormai percepiamo come tale un territorio anche solo quando ci accorgiamo di non avere campo con il cellulare ma è un concetto che qui viene rappresentato più che altro dall’aspetto temporale più che dalla distanza.
La Val Borbera, attraversata dal torrente dal quale prende il nome, si trova in Piemonte, provincia di Alessandria ma fa parte di quel territorio delle “4 province” che ha piedi in varie amministrazioni e affonda le sue radici storiche e naturali nel mondo Ligure.
Terra di confine da qualunque lato la si guardi, viene attraversata per raggiungere altre mete ma questo territorio custodisce un fascino che sta tra la natura e la sussistenza umana.
Voglio tornare a camminare qui e assaporare a ritmo lento questa valle e un’amica mi parla per la prima volta del “Cammino dei Ribelli” e mi dice di parlarne con i ragazzi del coordinamento. Tra di loro si rende disponibile Giovanni Moro, lo chiamo subito e lo riempio di domande perché già dal nome, questo percorso mi aveva conquistato. Giovanni è nato e ha scelto di rimanere qui contro ogni pronostico e consiglio. È uno sportivo, arbitro nazionale di calcio e trail runner ma è anche fondatore di un’attività sul cammino: l’area attrezzata di Boscopiano.

Il cuore della valle, il limpido Borbera nel quale passa la seconda tappa estiva

Ciao Giovanni, come è nato questo cammino?
«Il cammino è nato da un’idea dell’amico Giacomo D’Alessandro, sviluppata nell’ambito di una tesi di laurea. Giacomo ha deciso di provare a realizzarlo e di non lasciarlo solo sulla carta. Ne ha parlato con noi sul territorio e il presupposto è sempre stato, fin dall’inizio, che dovesse nascere e crescere dal basso con l’aiuto di tutti quelli che ci credevano, nessuno doveva poterci mettere sopra il cappello ma tutti avrebbero potuto contribuire. Una vera sfida perché la cosa più difficile è mettere d’accordo le persone e organizzarsi ma devo dire che è stata la scelta vincente.»

Sembra impossibile…come avete fatto?
«Le cose sono sempre state chiare dall’inizio, in questo Giacomo è stato irremovibile. E poi la maggior parte delle persone con cui parlavamo, alla fine erano conquistate e una minima parte che decideva di non partecipare capiva che comunque non avrebbe avuto niente da perdere…se avesse funzionato sarebbe stato comunque un bene ma in caso contrario non avrebbero perso nulla».

E invece ce l’avete fatta, complimenti! Parlami del cammino, che criteri vi siete dati per le tappe e il percorso?
«Il Cammino dei Ribelli è lungo circa 130 km. Suggeriamo di svolgerlo in 7 tappe. Siamo riusciti ad avere ricettività in ogni tappa e può anche essere svolto scegliendo di dormire in tenda per i più avventurosi.
Il criterio principale per definire il tracciato è stato quello di connettere i borghi con un percorso a mezzacosta. Le tappe sono pensate in modo da poter camminare e al contempo visitare i luoghi parlando con la gente del posto. Ogni tappa ha un referente che può dare consigli e informazioni in tempo reale sul percorso, le condizioni del territorio e mettere in contatto i pellegrini con veri e propri “ciceroni della Val Borbera”.»

Perché il cammino è dei ribelli?
«Questa è una valle che è stata in primo luogo teatro della resistenza partigiana, ribellione al regime nazifascista. E poi c’è la conformazione della valle, che per come è impervia si auto-isola, e si è prestata nella storia anche più lontana a rifugio per chi si ribellava: i contadini ai feudi imperiali o le caparbie tribù liguri alla conquista romana ancor prima. Insomma, è tutto un po’ ribelle. Vivere qua è ribellarsi a un mondo che sembra dirti che devi andare via. Abbiamo una storia di abbandono che ha avuto l’apice nel secondo dopo guerra. Ad esempio, Carrega Ligure ora ha 84 abitanti sparsi in 14 frazioni. Abbiamo 7 paesi fantasma dove non è mai arrivata l’acqua dal rubinetto o la corrente elettrica, il mondo si è fermato lì: è rimasto tutto a quando si facevano le cose a mano e con gli animali e la gente nel frattempo è emigrata. Ora questi borghi fantasma sono una delle cose più affascinanti da visitare ma la sfida è tentare di far rimanere nella valle chi ha voglia di restare».

La parte che ti piace di più del percorso?
«Sono il referente della tappa numero 2 e ci sono molto affezionato. Da maggio a settembre si può percorrere la versione estiva che permette di scendere nelle Strette del Borbera e percorrere il greto del torrente, rinfrescandosi e facendo il bagno nei laghetti naturali. Poi si prosegue e il Borbera si apre come una clessidra e il paesaggio cambia. È un punto chiave di tutto il cammino.»

Qual è il bilancio del lavoro svolto fino adesso e che prospettive vi date?
«Siamo partiti nel 2019, abbiamo dati di quattro stagioni, non sono molte ma ci danno l’idea che stiamo crescendo. Abbiamo dovuto affrontare numerose sfide: in questi quattro anni c’è stata la pandemia da Covid-19, la peste suina e per ultima una frana sulla strada a Carrega Ligure che ha bloccato la quarta tappa, per la quale abbiamo dovuto creare una variante. Stiamo ultimando la segnaletica ufficiale CAI grazie anche a un piccolo finanziamento del Parco Aree Protette Appennino Piemontese, stiamo costituendo una rete tra tutti i partecipanti al progetto e abbiamo creato la credenziale del cammino con la quale riusciamo a coprire un po’ di spese. Gli ultimi dati che abbiamo parlano di 400 passaggi all’anno ed è un bel risultato ma il dato più importante è che, insieme al cammino, è nata anche una nuova attività: un B&B a Fontanachiusa, un piccolo segno di rinascita che fa capire come il passaggio costante di escursionisti che garantisce il cammino, stia facendo riflettere tante persone e permette, per chi vuole, di avere l’opportunità di rimanere a vivere qui, aprendo un’attività. Nel futuro speriamo di avere un periodo di fruizione più ampio e un po’ di aiuto a livello istituzionale e da parte delle pro loco nella promozione. Attualmente infatti, i referenti di ogni tappa rispondono volontariamente ai camminatori che chiedono informazioni, ma se i numeri aumentano come speriamo…non so come faremo…non possiamo stare sempre al telefono!»

Immagino…con tutte le cose che fai! Anche tu gestisci un’attività sul cammino, cos’è Boscopiano?
«È uno “stabilimento balneare” sul torrente. C’è un’area picnic e un’area griglie autogestita. Al chiosco facciamo aperitivi con i prodotti locali. Offriamo il salame nobile del Giarolo, il formaggio Montèbore, dalle origini antichissime, fatto con latte misto vaccino e ovino e dalla caratteristica forma a castello, ispirata alla forma del mastio del castello di Dernice, ormai crollato. Da bere ovviamente abbiamo il Timorasso, vino bianco autoctono e anche lui antichissimo. È un’area dove rilassarsi dopo il cammino e assaporare la Val Borbera, un punto di incontro per chi sale e scoprire la Valle e chi la discende per raccontarla».

I vigneti per la produzione di Timorasso e altre varietà autoctone dipinti dall’autunno a Rocchetta Ligure

Bosco, acqua e testimonianze di un passato che sembra lontanissimo; e poi le storie delle persone e le cose buone da assaggiare che vengono prodotte ancora oggi in maniera autentica.

Grazie Giovanni, la tua Val Borbera mi affascina e mi ricorda di un altro territorio che ho studiato recentemente nel Levante Ligure…devi venire a trovarmi e ti racconto cosa abbiamo fatto qui, a presto!

Il Borbera scorre con il suo movimento sinuoso e penso che anche adesso sta scolpendo questa valle, influenzando lentamente la vita delle persone.

Impossibile resistere, mi torna subito la voglia di un nuovo inizio. Quella sensazione speciale che si prova in quel momento infinitesimale in cui si deve perdere l’equilibrio per iniziare un nuovo passo e partire…lento, libero, ribelle!

Fotografie: Giacomo e Luca D’Alessandro

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Non ci sono più le mezze stagioni, ma nemmeno quasi più le stagioni,