Più di 100.000 i cavalli presenti sul territorio ucraino che rischiano di
rimanere senza cibo e assistenza. Si cercano soluzioni per salvare loro e
altri animali senza sottovalutare il pericolo della diffusione di patologie
nei paesi di accoglienza
La Direzione Generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari – Dgsaf, in
data 21 Marzo, ha emanato una circolare riguardante le misure da adottare per
prevenire e controllare una possibile situazione di rischio sanitario conseguente
all’ingresso sul territorio nazionale di animali al seguito dei profughi di guerra.
La circolare fa seguito della Nota del 28 Febbraio (ne abbiamo parlato qui) che
riporta “le misure eccezionali per l’ingresso nell’UE di animali domestici al
seguito di rifugiati provenienti dall’Ucraina”. Il conitto in Ucraina conta oltre
trenta giorni dall’inizio dell’invasione e sono ormai milioni i profughi in fuga,
molti con i propri animali. Se è complicato salvare cani e gatti, ancora più difcile
è movimentare i cavalli e gli altri animali.
Alla preoccupazione per il destino di questi animali e alla necessità di trovare
soluzioni a uno dei tanti drammatici tasselli che compongono il retroscena dei
conitti armati, si accompagna quella della prevenzione della possibile diffusione
di patologie nei paesi di accoglienza. Un problema enorme, soprattutto se valutato
da un punto di vista onehealth, secondo cui la salute umana e la quella animale
sono indissolubilmente legate.
Tra i diversi rischi sanitari legati alla movimentazione di animali, la rabbia
silvestre rappresenta senza dubbio una patologia che richiede grande attenzione.
Il dramma della guerra per i cavalli
Nei cavalli, pur essendo animali sensibili al virus, l’incidenza della malattia è
molto bassa. In Europa, nonostante il vaccino sia registrato anche per gli equini, la
vaccinazione antirabbica non è molto diffusa, essendo obbligatoria solo per gli
animali bradi, mentre è inserita tra le vaccinazioni consigliate nelle linee guida
dell’Associazione Americana dei Veterinari Ippiatri (American Association of
Equine Practitioners –AAEP).
Secondo i dati della Federazione Equestre Ucraina (UEF), sono più di 100.000 i
cavalli presenti sul territorio ucraino, molti dei quali rischiano di rimanere senza
cibo, senza rifugi e senza alcuna assistenza. Una mobilitazione internazionale,
sostenuta della Fei (Federazione Equestre Internazionale), ha dato vita alla
Ukrainian Equestrian Federation Charity Foundation (www.helpukrainehorse.eu),
che coordina e gestisce tonnellate di eno, mangime e trucioli in arrivo dai paesi
europei, assistendo maneggi e centri equestri nel tentativo di ricollocare i cavalli,
sia all’interno del territorio ucraino sia in sistemazioni temporanee nei paesi
connanti.
La Fondazione offre la mappatura dei rifugi disponibili e offre assistenza alla
movimentazione dei cavalli. Un centro di smistamento è attivo in Polonia, ed è
collegato all’unico attivo in Ucraina, nei pressi di Leopoli.
Per quanto riguarda la movimentazione dei cavalli oltre i conni dei territori in
guerra, si è espressa la Federazione delle Associazioni Europee di Veterinari per
Equini, FEEVA. Un comunicato pubblicato ieri sul sito ufciale dichiara che la
federazione è consapevole dei rischi che questa situazione comporta e continuerà
a monitorare gli spostamenti dei cavalli tra l’Ucraina e i paesi connanti.
La rabbia silvestre circola in Ucraina, mentre il nostro paese
è indenne dal 2013
La situazione epidemiologica riguardo a questa malattia in Ucraina è molto
diversa da quella italiana. L’Italia è tornata ad essere indenne dalla rabbia
silvestre nel febbraio 2013, trascorsi due anni dall’ultimo caso di un focolaio che
aveva interessato l’Italia nordorientale dal 2008 al 2011. Secondo i dati
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, esiste invece una circolazione diffusa
del virus sul territorio ucraino, che coinvolge sia gli animali selvatici che quelli
domestici. Quasi 400 casi sono stati segnalati nel 2021, in animali selvatici e
domestici.
Seguendo le indicazioni del Centro di Referenza Nazionale per la Rabbia, attivo
presso l’Istituto Zooprolattico delle Venezie, la nota della Dgsaf prevede una serie
di misure atte a regolarizzare i pet in entrata nel nostro paese. In sintesi:
–identicazione con microchip e vaccinazione antirabbica e periodo di
osservazione di almeno 3 mesi, presso il domicilio del proprietario, nel caso di
animali privi di microchip e certicato di vaccinazione antirabbica,
– prelievo per la titolazione degli anticorpi e periodo di osservazione di 3 mesi, se
l’esame da esito positivo, o 6 mesi se l’esito è negativo (sempre presso il domicilio
del proprietario), se gli animali sono provvisti di microchip e certicato vaccinale,
– obbligo di guinzaglio e museruola per i cani, e di connamento durante il
periodo di osservazione per i gatti,
– non è consentito l’ingresso in Italia di animali randagi o provenienti da rifugi
posti sul territorio ucraino.
La reazione degli animalisti
Immediate le reazioni del comparto animalista, in particolare per la restrizione
che riguarda animali randagi e provenienti dai rifugi. La federazione Italiana delle
Associazioni per i Diritti degli Animali e dell’Ambiente ha chiesto al Ministero di
modicare quest’ultimo provvedimento. L’onorevole Michela Brambilla,
presidente di Leida, Lega Italiana per i Diritti degli Animali e dell’Ambiente, in
prima linea nell’assistenza degli animali vittime della guerra, scrive in un post su
Facebook che il divieto alle associazioni di introdurre ‘cani e gatti ospitati nei
rifugi/canili e cani e gatti randagi aventi origine ucraina’ previsto dalla nota del
ministero della Salute di lunedì scorso non ha alcuna giusticazione logica. Giusti
i periodi di osservazione che vanno da tre a sei mesi, l’uso obbligatorio di
guinzaglio e museruola per i cani e il connamento per i gatti in quarantena, ma
no al divieto generalizzato.
Una patologia antica, di importanza attuale
Secondo l’OIE, l’Organizzazione mondiale di sanità animale, la rabbia fa parte di
quelle “malattie trasmissibili considerate di importanza socio-economica e/o di
sanità pubblica all’interno degli stati e che sono signicative nel commercio
internazionale di animali e di prodotti di origine animale“.
Malattia mortale descritta per la prima volta nel 23°secolo a.C., la rabbia è forse la
malattia più antica di cui si ha notizia. Deve il suo nome a una parola che deriva
dal sanscrito “rabbhas”, che signica “fare violenza”.
E’ causata da un rabdovirus, virus a RNA appartenente al genere Lyssavirus, lo
stesso a cui appartengono i virus “rabbia-correlati” che causano la rabbia europea
e la rabbia australiana nei pipistrelli.
La rabbia silvestre colpisce gli animali selvatici, in particolare la volpe, che
fungono da serbatoio del virus, e si trasmette tramite i morsi degli animali infetti,
in seguito al contatto diretto con la saliva. Cani, gatti, cavalli e anche l’uomo sono
sensibili all’infezione. Il virus causa un’encefalite che si manifesta con sintomi
neurologici caratteristici, quali gli atteggiamenti aggressivi, la salivazione, la
perdita dell’orientamento, che evolvono in paralisi muscolari, no alla morte del
soggetto.
Non esiste terapia specica ma la rabbia viene efcacemente prevenuta dalla
vaccinazione, disponibile anche per l’uomo.
Fonti:
http://www.who-rabies-bullettin.org
https://www.anmvioggi.it/images/NOTA_DGSAF_AGGIORNAMENTO_PETS_DA_UCRAINA.pdf?
62383f15
https://feeva.fve.org/feeva-statement-on-horses-transported-from-ukraine/
https://www.anmvioggi.it/rubriche/attualita/72339-rabbia-in-ucraina-virusdiffuso.
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